Poltrone su misura per clienti VIP

Nel cuore di Napoli da trent’anni un’azienda “mette a sedere” personaggi prestigiosi. Ma non chiedete una sedia in pelle nera.

«Il mio obiettivo principale è la soddisfazione del cliente. Chiudere gli occhi e non pensare a chi si ha davanti. Trattare bene tutti indipendentemente dalla posizione economica e sociale. Usare lo stesso entusiasmo per ogni cliente piccolo o grande. E creare un prodotto originale. Se qualcuno entra in una stanza e dice: bella questa poltrona, ma chi l’ha fatta? Beh questo è il mio gol». 

Vittorio Pappalardo accontenta tutti e adesso sogna il Presidente Napolitano

Spesso e volentieri si accusano i politici di essere troppo attaccati alle poltrone. E se la colpa fosse di chi le poltrone le fa? Proviamo a chiederlo a Vittorio Pappalardo, imprenditore artigiano che, da più di trenta anni, nel cuore di Napoli, in Piazza S.Onofrio, produce poltrone d’ufficio destinate specialmente a uomini di potere. Pappalardo ci illustra subito la sua filosofia: «La poltrona per me è come un vestito, una cravatta, un qualcosa che si indossa ogni giorno e che deve perfettamente adattarsi alla personalità di chi la usa». Altro aspetto fondamentale è lo studio dell’ambiente in cui il prodotto è collocato: il legno, il tessuto, tutto deve intonarsi con ciò che lo circonda. «Bisogna ragionare con gli occhi del cliente – dice Pappalardo – e creare un rapporto di tranquillizzante fiducia curando ogni minimo particolare». Pappalardo lo “svizzero” così lo ha definito uno dei suoi prestigiosi clienti il giornalista Giuseppe Pacileo. Tanti i personaggi famosi che si sono affidati alla sua azienda, l a Vip: il cardinale Crescenzio Sepe, il questore Santi Giuffré e il prefetto Alessandro Pansa. «Per Sepe – racconta l’artigiano – abbiamo scelto un tessuto Il gol dell’artigiano damascato con filo dorato e una forte presenza del colore cardinalizio: il rosso». Ma Pappalardo è aperto alle proposte del cliente: «Il direttore del Denaro, Ruffo mi ha chiesto una poltrona gessata, sul nero, è una cosa che è piaciuta molto, ora la produciamo di serie». Non mancano le richieste bizzarre: «Una volta mi hanno portato un tessuto del Calcio Napoli per avere una poltrona da tifoso: ho esaudito il desiderio con piacere ». C’è solo una richiesta che lo fa imbestialire: «Le poltrone nere, magari in ecopelle: siamo per un prodotto di qualità che si differenzi ». Non soltanto estetica, la Vip cura molto anche la comodità: «Produciamo poltrone ergonomiche che garantiscono una corretta postura e prevengono i più fastidiosi acciacchi: dal classico mal di schiena, alle prostatiti e le emorroidi». L’ultima creazione è stata una po trona realizzata con il tessuto delle cravatte di Marinella per Giancarlo Elia Valori. Ma il sogno sarebbe una poltrona per la residenza napoletana del presidente Napolitano a Villa Rosebery: «Ora ne ha una nera, scelta anni fa da Cossiga. Io userei un tessuto damascato, magari con i colori della nostra bandiera».

Dopo tanti sacrifici un desiderio
«Vorrei una senior»

Vittorio Pappalardo nasce a Napoli 57 anni fa, nello stesso palazzo in cui è situata la sua azienda, la Vip che dal 1977 realizza poltrone d’ufficio. Si definisce un imprenditore artigiano. Ancora oggi, con l’aiuto dei suoi collaboratori, lavora in prima persona alla realizzazione del prodotto, ma si occupa anche del marketing. Ha da subito intuito le potenzialità della tecnologia: «Già nel 1980 avevo il computer – dice – ora uso Skype e sono su YouTube». Il fiore all’occhiello sono le poltrone direzionali “su misura”. Da un corpo macchina base la poltrona viene adattata alle esigenze del cliente che partecipa attivamente alla scelta del legno e del tessuto da utilizzare. Numerosi gli accessori disponibili: dalla fondina portapistola, all’appendigiacca sino alla possibilità di personalizzare la poltrona col proprio nome. Ogni poltrona è matricolata e fotografata, l’azienda conserva nel tempo tutti i dati relativi all’assistenza: una sorta di storia clinica. La Vip opera maggiormente in Campania: «Ci è capitato di esportare in Russia, ma per ora stiamo bene così, qua c’è ancora tanto da fare». Il merito di Pappalardo è quello di essersi adeguato ai tempi divenendo imprenditore senza snaturarsi, rimanendo l’artigiano che lavora a stretto contatto col cliente. Un lavoratore instancabile che ci rivela un desiderio: «Una poltrona per me non ce l’ho, in ufficio ho poco spazio e a casa non ci sono mai, ma mi piacerebbe una Senior».

Swarovsky e Schuberth, ecco le poltrone Vip

La napoletana Vip di Vittorio Pappalardo, azienda leader nella produzione di poltrone per top manager, diventa licenziataria dei tessuti della Maison Schuberth, con i quali rivestirà le sue poltrone, nella variante femminile Glamour-Plus-Schuberth. Emilio Schuberth è il grande sarto napoletano di fama mondiale che ha vestito Regine e grandi dive quali Greta Garbo, Sofia Loren, Brigitte Bardot, Rita Hayworth. Questa linea di poltrone,  arricchita con con pietre Swarovski, è dotata anche di apendigiacca o appendiborsa ed è destinata alle top-Manager che vogliono conservare il fascino dell’eleganza femminile, anche in quello status-symbol, tipicamente maschile, quale la poltrona del Top-Manager. Le poltrone Vip sono prodotti unici e hanno una propria matricola e una propria cartellina; la scheda-prodotto è conservata negli archivi dell’azienda. A Natale tra i destinatari di una delle poltrone Vip c’è stato il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.

Una poltrona per Emma Marcegaglia

Ad accogliere il presidente di Confindustria Emma Marcegaglia al suo arrivo a Napoli è la poltrona “su misura” regalatale dal Denaro e realizzata dall’azienda napoletana Vip di Vittorio Pappalardo. La poltrona, in tessuto Schubert bianco-nero, (Emilio Schubert è il sarto napoletano di fama mondiale che ha vestito Regine e dive quali Greta Garbo, Sofia Loren, Brigitte Bardot, Rita Hayworth), ha due grandi tasche laterali dove trovano spazio uno specchietto coordinato per gli ultimi ritocchi e un portaocchiali. I braccioli sono impreziositi da pietre Swarovsky. Altro tocco di classe sullo schienale, con il portaborse “targato” Emma Marcegaglia. Nella foto il direttore del Denaro Alfonso Ruffo con il leader di Confindustria e, ultimo a destra, Vittorio Pappalardo.

Una poltrona per VIP

Pappalardo (Vip): Il prossimo cliente? Spero il nuovo Questore di Napoli.
Il marchio registrato trent’anni fa da Vittorio Pappalardo è ormai un must per la gente che conta. Tra i suoi clienti ci sono tra gli altri il presidente di Confindustria Emma Marcegaglia e il Cardinale di Napoli, Crescenzio Sepe. 

Sono i dettagli, piccoli e grandi, a fare la differenza nella storia di Vip, il marchio registrato oltre trent’anni fa da Vittorio Pappalardo che, dal 1977, “mette comodi” tanti top manager campani e non. Pappalardo è un vero e proprio artista della poltrona, innamorato perso del suo lavoro, tanto da custodire con grandissimo affetto i numerosi piccoli tasselli che hanno fatto della sua impresa un riferimento del settore: dalle foto dei lavori alla prima struttura, sempre in via Sedile di Porto, alle pubblicità d’esordio, ai primi articoli di giornale in cui già erano presenti i cardini della sua filosofia aziendale.
E nei raccoglitori trovano spazio anche i ricordi di famiglia, i riconoscimenti ricevuti dai genitori, “imprenditori vecchio stampo”, da cui Vittorio ha imparato tanto, scegliendo poi di seguire la sua strada, fatta di studio, sacrifici e successi. A colpire è soprattutto l’attenzione ai dettagli che Pappalardo mette in ogni fase della produzione delle poltrone, elemento che si traduce presto in una forte e radicata attenzione al cliente, “la stessa – spiega Pappalardo – sia per i grandi che per i piccoli ”. Dalle poltrone fatte “con gli occhi dei clienti” ai guanti bianchi che indossa sempre per far provare le poltrone, nulla è lasciato al caso: “anche se qualche volta qualcuno può sorriderne. Non bisogna, però, dimenticare che nel lavoro è necessaria una grandissima dignità e i guanti sono una forma di rispetto sia del mio ruolo professionale sia del cliente”. L’imperativo è garantire la massima soddisfazione della propria clientela, anche, anzi soprattutto, nella fase post vendita. “Il più grande complimento ricevuto è stato sentirmi dire che ci sono sempre, che i nostri acquirenti sanno di poter contare su di noi in qualunque momento, per qualunque tipo di problema o assistenza”. È per questo che il numero uno di Vip ha tanto da ridire sul moderno modo di fare azienda, “non tollero la superficialità, oggi c’è troppa disattenzione anche da parte delle grandi marche. Non possiamo avere come massima aspirazione quella di raggiungere prodotti di qualità sufficiente, dobbiamo impegnarci per migliorare le cose già fatte bene”. Per questo, ad esempio, per le sue poltrone sceglie materiali di prima qualità, come il meccanismo per sollevarle, uguale a quello utilizzato da Ferrari eMercedes Benz per gli sportelli delle auto. “Qualcuno si stupisce quando sa che le rotelle delle mie poltrone non sono fatte in Cina – racconta – o che l’articolo arriva già montato al cliente. Non siamo certo l’Ikea. I nostri acquirenti sono avvocati, manager, non sanno, né devono, montare correttamente le poltrone”. Alle consegne, precedute da un sms di notifica, lo staff della Vip c’è sempre e non va via se non dopo essersi accertato che l’acquirente sia entrato in confidenza con il funzionamento della poltrona. “Sono in troppi a pensare che il core business di un’azienda sia il guadagno, per questo ho poca stima di quei manager che non hanno mai studiato per ricoprire ruoli di responsabilità e si ritrovano a sottovalutare di continuo la clientela”. Non sono i grandi numeri a fare la differenza, ma la qualità: “Dobbiamo diventare micro aziende di eccellenza, non abbiamo la forza di tenere testa alla concorrenza cinese sul piano dell’abbattimento dei costi. Dobbiamo essere piccoli ma eccellenti. Il cliente vuole prodotti buoni e noi dobbiamo “drogarlo” con il servizio, coccolarlo”. È l’imprenditore che deve cercare il cliente, cercando di risolvere tutto rapidamente, facendo diventare sufficiente una telefonata, dedicandogli attenzione e assistenza. Tra i grandi limiti delle imprese, oggi, c’è l’appiattirsi su stereotipi, “Sono le idee che ci fanno uscire dal tunnel della crisi, dobbiamo imparare a giocare, sperimentare, rompere gli schemi. Noi l’abbiamo fatto utilizzando il tessuto sartoriale per le poltrone o inserendo piccoli Swarovski nei braccioli”. E tra le idee realizzate anche quella di lanciare una linea femminile per top manager, per garantire l’espressione della propria femminilità anche attraverso uno strumento di lavoro come la poltrona. “E’ uno strumento delicato e importante. – spiega Pappalardo – Quando arrivi a rappresentare un determinato ruolo, hai bisogno di trasmettere messaggi anche attraverso l’abbigliamento o l’arredamento. È per questo che ho bisogno di confrontarmi prima con i clienti, nel caso delle poltrone personalizzate, ne studio esigenze, modi di fare, piccole manie e cerco di tradurli in un pezzo unico”. Renderle tali è anche la matricola. Ogni poltrona, infatti, è numerata, cosa che ne favorisce la tracciabilità e ne facilita l’identificazione: “Un’idea nata proprio come conseguenza della personalizzazione delle poltrone stesse”. A poter vantare una poltrona “su misura” sono tanti personaggi noti, tanti uomini di impresa e delle istituzioni ma non solo. Tra questi: il presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, il Cardinale di Napoli, Crescenzio Sepe, l’economista, Giancarlo Elia Valori, il direttore del Denaro, AlfonsoRuffo, e quello del TG1,AugustoMinzolini. Ogni poltrona è impreziosita da qualche particolarità: un portaocchiali, uno specchietto, il portaborse con inciso il proprio nome, il portabiglietti da visita, una fondina portapistola. “Quando ci sono problemi – aggiunge Pappalardo – chiamano me. E’ successo, ad esempio, conAlessandro Pansa. Il suo staff mi chiamò alla terza sostituzione di poltrona dell’allora Prefetto. Morale della favola, oggi che riveste un nuovo incarico ha portato con sé il mio prodotto. Una bella soddisfazione”. Vip di Vittorio Pappalardo è stata anche il primo caso di studio all’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli nel corso di Comunicazione della Moda (tenuto dalla professoressa Elena Perrella) all’interno del Corso di Laurea in Scienze della Comunicazione. Il corso analizza i casi imprenditoriali di successo degli ultimi anni partendo dalle strategie di comunicazione delle aziende “extra settore” che stanno vincendo le sfide della globalizzazione grazie all’utilizzo di strategie ben calibrate sul concept aziendale e sul relativo prodotto. Pappalardo, definito dalla stampa internazionale “il sarto delle poltrone su misura”, racconta che per spiegare ai ragazzi le strategie di comunicazione ha scelto di partire da casi importanti di aziende che mutuano le strategie e i tempi del mondo dell’abbigliamento ai settori degli accessori e del design. “In questo modo – racconta – attraverso le loro strategie si può comprendere meglio come le piccole e medie imprese possono imporsi sul mercato seguendo la scia dei grandi brand”. Per reggere ai ritmi intensi del lavoro, però, è necessaria una forte motivazione, che Vittorio Pappalardo trova nella sua famiglia, nella moglie e in sua figlia, che un giorno potrebbe seguire le orme paterne: “E’ fondamentale nel nostro ruolo di azienda perché ci incoraggia, ci garantisce la serenità necessaria per affrontare tutto e la spinta a fare. Percepiscono quanto stai facendo e ti incoraggiano”.

Una poltrona su misura per Elia Valori

Una poltrona su misura per Giancarlo Elia Valori, vincitore della sezione Mediterraneo del Premio Ischia. Si chiama “poltrona del Mediterraneo” in omaggio all’impegno con cui Valori si dedica da anni ai temi della politica internazione e in particolare ai suoi studi sul futuro del Mediterraneo. E’ realizzata da Vittorio Pappalardo (titolare della Vip) con tessuti delle cravatte di Maurizio Marinella. La poltrona è stata a donata a Valori dal Denaro e da Vip. Pappalardo è considerato l’artigiano dei top manager. Le sue poltrone sono pezzi unici, ognuna ha una sua matricola, ognuna viene fotografata ed ha una cartellina personale, la scheda-prodotto, meticolosamente conservata negli archivi dell’azienda. Insomma nel grande mercato artigianale del “su misura” ora si sono aggiunte anche le poltrone d’ufficio.

Uso la pistola per tenere i Vip incollati alla loro poltrona

Il titolare che gira l’Italia a prendere le misure del fondoschiena dei clienti. Così un’azienda diventa un caso di marketing studiato all’università. Il capo dello Stato, la presidente di Confindustria, il direttore del Tg1: tutti comodi sui troni “anti ribaltone” dell’imprenditore che all’occorrenza fa anche l’artigianoIl titolare che gira l’Italia a prendere le misure del fondoschiena dei clienti. Così un’azienda diventa un caso di marketing studiato all’università. Il capo dello Stato, la presidente di Confindustria, il direttore del Tg1: tutti comodi sui troni “anti ribaltone” dell’imprenditore che all’occorrenza fa anche l’artigiano

“Presidente, si collassi!”. Giorgio Napolitano è rimasto per un attimo interdetto: l’ordine, cortese ma perentorio, veniva da un signore di grande distinzione, vestito di scuro e in guanti bianchi, inginocchiato a fianco della poltrona su cui il capo dello Stato s’era appena assiso.
Comprensibile esitazione, lieve impaccio e poi, oplà, anche Napolitano è finito inclinato all’indietro di 16 gradi. «Mi perdoni, presidente, ma riesco a intervenire solo se il peso del corpo si scarica per intero sullo schienale». Rapida registrazione dei meccanismi sotto il sedile. Fatto. Perfetta. «L’uomo giusto sulla poltrona giusta». Sarà. Ma il presidente della Repubblica l’ha scampata bella. Un po’ in segno di deferenza, un po’ in omaggio ai comuni natali, Vittorio Pappalardo, napoletano verace, gli ha risparmiato l’altro rituale, ben più imbarazzante, da cui trae origine la tradizione d’indossare i guanti bianchi: il controllo del fondoschiena. «Eh, amico mio, lei non sa di quanti e quali guai sia foriera la mancata aderenza della poltrona a livello lombare», si giustifica. Ora vorrebbe che le terga presidenziali trovassero sollievo anche a Villa Rosebery, la residenza su Capo Posillipo dove gli inquilini del Quirinale vengono a godere del paesaggio marittimo: «So che lì vi è una poltrona nera che fu scelta da Francesco Cossiga. Io ci vedrei bene qualcosa in tessuto damascato con i colori della nostra bandiera». Pappalardo non è solo l’imprenditore che ha saputo dare dignità regale al tanto vituperato attaccamento alla poltrona. È molto di più: un maestro di sedute, un cerimoniere del potere e, per dirla come va detta, un formidabile accaparratore di deretani celebri. 

Ma guai a pensare che la sua manifattura di piazzetta Sant’Onofrio dei Vecchi, nel cuore di Napoli, sforni semplici poltrone, sia pure da collezione: «Mi consenta di correggerla, dottore. Direi che i miei, più che altro, sono corpi macchina ergonomici». Costruiti da quattro soli artigiani, ai quali per almeno cinque ore al giorno, quando può, si affianca lui, il fondatore e amministratore unico: «Cuciture e finiture sono il mio hobby anche nel poco tempo libero. Spesso capita che la domenica mi alzi dal letto con un’idea nuova. Vengo qui in laboratorio e me la realizzo da solo». A queste condizioni, la perfezione è dietro l’angolo: «Modestia a parte, quella delle misure l’abbiamo già raggiunta, almeno nel meccanismo antiribaltone», si toglie le scarpe, balza in pie­di sulla poltrona avendo cu­ra di tenere i talloni fuori dal sedile e ciononostante le cinque razze munite di ro­telle non si spostano di un millimetro sul pavimento. 

Pappalardo, 57 anni, è figlio d’arte. I suoi avevano un’azienda di mobili e macchine per ufficio. Il padre Giuseppe morì quando lui aveva appena 10 anni. Ha frequentato la Scuola Sviz­zera di Napoli e poi un ma­ster di direzione aziendale col professor Franco D’Egi­dio a Milano. «I miei genitori mi hanno insegnato che la famiglia è al servizio dell’impresa, D’Egidio pressappoco il contrario. Ho raggiunto un equilibrio olistico: la verità sta nel mezzo». Magari non l’ha raggiunto pro­prio del tutto, visto che, «per scelta», ha mes­so al mondo solo Vittoria, oggi al terzo anno di liceo artistico, «un figlio ha bisogno di una madre e di un padre e io lavoro 18 ore al gior­no, a casa non ci sono mai, perché far nasce­re degli infelici?». “Presiden­te, si col­lassi!”. Giorgio Napolita­n­o è rimasto per un at­timo interdetto: l’or­dine, cortese ma pe­rentorio, veniva da un signore di grande distinzione, vestito di scuro e in guanti bianchi, inginocchiato a fianco della poltrona su cui il capo dello Stato s’era appena assiso.Comprensibile esitazio­ne, lieve impaccio e poi, oplà, anche Napoli­tano è finito inclinato all’indietro di 16 gradi. «Mi perdoni, presidente, ma riesco a interve­nire solo se il peso del corpo si scarica per intero sullo schienale». Rapida registrazione dei meccanismi sotto il sedile. Fatto. Perfet­ta. «L’uomo giusto sulla poltrona giusta». Sarà. Ma il presidente della Repubblica l’ha scampata bella. Un po’ in segno di defe­renza, un po’ in omaggio ai comuni natali, Vittorio Pappalardo, napoletano verace, gli ha risparmiato l’altro rituale, ben più imba­razzante, da cui trae origine la tradizione d’indossare i guanti bianchi: il controllo del fondoschiena. «Eh, amico mio, lei non sa di quanti e quali guai sia foriera la mancata ade­renza della poltrona a livello lombare», si giustifica. Ora vorrebbe che le terga presi­denziali trovassero sollievo anche a Villa Ro­sebery, la residenza su Capo Posillipo dove gli inquilini del Quirinale vengono a godere del paesaggio marittimo: «So che lì vi è una poltrona nera che fu scelta da Francesco Cos­siga. Io ci vedrei bene qualcosa in tessuto da­mascato con i colori della nostra bandiera». Pappalardo non è solo l’imprenditore che ha saputo dare dignità regale al tanto vitupe­rato attaccamento alla poltrona. È molto di più: un maestro di sedute, un cerimoniere del potere e, per dirla come va detta, un formi­dabile accaparratore di deretani celebri. 

L’imprenditore è spesso in giro per l’Italia ad acculare i suoi selezionati clienti sui pez­zi unici preparati per loro, personalizzati con nome e cognome inciso in un ovale d’ot­tone e numero di matricola con codice alfanumerico a 10 cifre. «Il cliente va coccolato. Se un’azienda non mette al primo posto la sua soddisfazione, non ha futuro. Il compra­tore scontento ti arreca un danno irreparabi­le. Invece quello contento lavora ogni gior­no per te. Ho costruito la mia fortuna sulla qualità e sul passaparola». Un caso di marke­ting da manuale, che è stato oggetto di stu­dio all’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli, nel corso tenuto dalla professoressa Elena Perrella per i laureandi in scienze del­la comunicazione, e che troverà consacra­zione nel numero di maggio di Vogue Accessory , con una poltrona in velluto rosso ispira­ta ad Alice nel paese delle meraviglie. 

Non si può dire che Pappalardo non aves­se ben chiaro il target quando nel 1980 regi­strò alla Camera di com­mercio il marchio Vip, sigla che fonde le lettere iniziali di Vittorio Pappalardo ma che è soprattutto l’acroni­mo di «very important person ». Nel corso degli anni ha messo comode le autorità locali: l’arcivescovo Crescenzio Sepe; il prefetto Alessandro Pansa; il que­store Santi Giuffré; il co­mandante della Nunziatella, colonnello Filippo Troise; i direttori del Mattino, Virman Cusenza («avevo già pronta la targhetta per il suo predecessore, Mario Orfeo, ma fu chiamato alla guida del Tg2 ») e del Denaro , il più diffuso quotidiano economico del Sud, Alfonso Ruffo. Poi ha ampliato il ramo giornalisti: il direttore del Tg1 , Augusto Minzolini, e il suo vice Gennaro Sangiuliano; il direttore di Panorama , Giorgio Mulè; il direttore del Tempo , Roberto Arditti. Infine ha puntato dritto ai palazzi romani del potere: dal capo dello Stato alla presidente della Confindustria, Emma Marcegaglia, e al suo vice, Enzo Boccia. Adesso l’inarrestabile Pappalardo minac­cia di dilagare nel mondo dello spettacolo. Alla presentazione di Vallanzasca, gli angeli del male , al Maschio Angioino, su richiesta della Fondazione Valenzi ha intronizzato il regista Michele Placido, gli attori Kim Rossi Stuart e Francesco Scianna, che nel film interpretano il capo della banda della Comasina e il suo rivale Francis Turatello, e Filippo Timi, che impersona il luogotenente del Bel René. 

Quattro poltrone uguali, in gessato grigio stile gangster anni Trenta, con i nomi ricamati a mano sulla spalliera. E con una particolari­tà che contraddistingue le Vip di Pappalar­do: la fondina per la pistola sotto il sedile. Un articolo di sicuro successo, considera­to il territorio in cui opera la sua azienda. «È un accessorio molto utile, che mi sono inventato per i questori, i commissari di poli­zia e gli uomini d’affari costretti a girare armati, mica per i camorristi. Lo fornisco solo su richiesta. E comunque non è l’unico». Che altro ha escogitato? «Il pomello sullo schienale per appendere la giacca. Il portaocchiali. Le tasche sui braccioli per l’agenda, il palmare o il pacchetto di sigarette. La custodia per lo specchietto». Inventiva partenopea. «Cura del dettaglio. La stessa che metto nel­la scelta dei tessuti, dalle lane Loro Piana al velluto Visconti di Modrone». Un tifoso del made in Italy. «Siamo stati noi a insegnare al mondo a man­giare, a bere, a vestirsi, ad arredare le case. L’imprenditore è spesso in giro per l’Italia ad acculare i suoi selezionati clienti sui pez­zi unici preparati per loro, personalizzati con nome e cognome inciso in un ovale d’ot­tone e numero di matricola con codice alfa­numerico a 10 cifre. «Il cliente va coccolato. Se un’azienda non mette al primo posto la sua soddisfazione, non ha futuro. Il compra­tore scontento ti arreca un danno irreparabi­le. Invece quello contento lavora ogni gior­no per te. Ho costruito la mia fortuna sulla qualità e sul passaparola». Un caso di marke­ting da manuale, che è stato oggetto di stu­dio all’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli, nel corso tenuto dalla professoressa Elena Perrella per i laureandi in scienze del­la comunicazione, e che troverà consacra­zione nel numero di maggio di Vogue Accessory , con una poltrona in velluto rosso ispira­ta ad Alice nel paese delle meraviglie. 

Sono disposto a fare un’eccezione solo per il lamellare di faggio dei braccioli, che provie­ne dalla Slovenia ma viene curvato in Italia. Il meccanismo per sollevare le poltrone è quello utilizzato dalla Ferrari per i portello­ni delle rosse di Maranello. Le pelli arrivano dalle concerie vicentine di Arzignano e il taf­fettà dalle industrie tessili lombarde. Ho pro­dotto poltrone con le sete del mio concittadi­no Maurizio Marinella, il re delle cravatte. Quella della Marcegaglia l’ho fatta con una stoffa bianconera di Emilio Federico Schuberth, il grande sarto napoletano morto nel 1972 che vestiva le mogli e le amanti di re Faruk d’Egitto, aveva fra le sue clienti Sofia Loren, Brigitte Bardot, Gina Lollobrigida, Lucia Bosé, Silvana Mangano, Wanda Osi­ris, Silvana Pampanini e in una sola notte preparò il guardaroba da imperatrice alla principessa Soraya, consorte dello Scià di Persia. I braccioli li ho impreziositi con due pietre Swarovski». Ma a che servono i cristalli Swarovski? Non fanno tanto trono di Bokassa? «Questione di misura. Li ho inseriti nella par­te inferiore del bracciolo, chi sta davanti alla scrivania neppure li vede. Ogni poltrona va considerata nel suo contesto e adattata alla personalità di chi la usa, come se fosse un abito. Per il cardinale Sepe ho scelto un tes­suto damascato con filo dorato, ovviamente rosso porpora. 

Nel rinnovare lo studio, un operaio stava portando via per errore la pol­trona. Sua eminenza lo ha fermato urlando: “Guaglio’, posa ’sta cosa ccà!”. Me l’ha rac­contato divertito lo stesso arcivescovo». Il cardinale dev’essere molto affeziona­to alla sua poltrona. «Prima d’incontrare me, era costretto ad ar­rangiarsi con due cuscini per dare sollievo alla schiena. Vede, nessuno lo sa, ma quan­do siamo seduti la colonna vertebrale è al massimo del carico. Quindi la schiena ade­sa alla spalliera è l’unico modo per scaricare il peso. Il che significa che il sedile deve distare quat­tro dita dal poplite». Prego? «Il poplite, la regione poste­riore del ginocchio. Altri­menti lei con la schiena al­la spalliera non ci arriverà mai. Inoltre il sedile dev’es­sere semirigido, perché la medicina del lavoro insegna che chi sta per molto tempo su una poltrona troppo morbida rischia emorroidi e prostatiti». Addirittura. «Lo capisce da sé: il cusci­no comprime e surriscalda il perineo. Non basta atte­nersi alle regole fissate dal­l’Ufficio italiano unificazio­ne per il normotipo di statura compresa fra 1 un metro e 62 e 1 metro e 92. Bisogna valuta­re caso per caso. Per i miei concorrenti, abi­tuati a fabbricare in serie, le normative rap­presentano intralci burocratici, ostacoli pro­duttivi. Per me invece diventano leve di marketing. 

Lavoro solo su misura, vado a rendermi conto di persona a domicilio, de­vo vedere peso e altezza del cliente». Quindi a Giulio Andreotti farebbe lo schienale con l’incavo per la gobba. «Davanti a qualsiasi persona, dal capo dello Stato all’ultimo degli impiegati, mi pongo con lo stesso atteggiamento di un medico. Per questo indosso i guanti di cotone bian­co. Di lattice no, mi saprebbe troppo da sala operatoria». Anche da obitorio. «Quando Giancarlo Elia Valori, l’economi­sta della Fondazione Abertis che è stato pre­sidente di Autostrade per l’Italia, ha visto che me li infilavo, mi ha chiesto guardingo: “Ma lei è massone?”». Lo credo. Nelle logge non si entra senza grembiule e senza guanti bianchi. «Gli ho spiegato che era solo una forma di rispetto e d’igiene. “Meno male”, ha commentato ». Quanto c’impiega a costruire una poltro­na? «L’ammiraglia richiede un’intera giornata di lavoro». Costerà una fortuna. «Mai essere venali. Io lavoro per me, per la soddisfazione d’avere una clientela esclusi­va. Il prezzo è l’ultima cosa che guardo. Pri­ma viene l’appagamento estetico. Non di­mentichi che noi italiani siamo i leader del bello nel mondo». Sono disposto a fare un’eccezione solo per il lamellare di faggio dei braccioli, che provie­ne dalla Slovenia ma viene curvato in Italia. Il meccanismo per sollevare le poltrone è quello utilizzato dalla Ferrari per i portelloni delle rosse di Maranello. Le pelli arrivano dalle concerie vicentine di Arzignano e il taf­fettà dalle industrie tessili lombarde. Ho pro­dotto poltrone con le sete del mio concittadi­no Maurizio Marinella, il re delle cravatte. Quella della Marcegaglia l’ho fatta con una stoffa bianconera di Emilio Federico Schuberth, il grande sarto napoletano morto nel 1972 che vestiva le mogli e le amanti di re Faruk d’Egitto, aveva fra le sue clienti Sofia Loren, Brigitte Bardot, Gina Lollobrigida, Lucia Bosé, Silvana Mangano, Wanda Osi­ris, Silvana Pampanini e in una sola notte preparò il guardaroba da imperatrice alla principessa Soraya, consorte dello Scià di Persia. I braccioli li ho impreziositi con due pietre Swarovski». Ma a che servono i cristalli Swarovski? Non fanno tanto trono di Bokassa? «Questione di misura. Li ho inseriti nella par­te inferiore del bracciolo, chi sta davanti alla scrivania neppure li vede. Ogni poltrona va considerata nel suo contesto e adattata alla personalità di chi la usa, come se fosse un abito. Per il cardinale Sepe ho scelto un tes­suto damascato con filo dorato, ovviamente rosso porpora. 

C’era già la Frau che fa poltrone belle. «Ma piglia ’a via do mare! Per l’amor di Dio, bellissime eh, intendiamoci. Ma lei prenda la storica Antropovarius disegnata da Ferdi­nand Porsche. Tanto di cappello per le verte­bre d’acciaio e la lamina di carbonio, però in qualsiasi modo lei voglia regolarle non trove­rà mai pace. Il design serve per vendere. Ma alla distanza sono l’utilizzo e la durata che fanno la differenza. Le mie poltrone sono concepite per l’eternità, come tutti gli ogget­ti di classe, che devono garantire un’assolu­ta manutenibilità nel tempo. Se un cliente sporca di caffè il sedile o lo schienale, smon­to la poltrona, lavo il tessuto e riconsegno il prodotto come nuovo». Sceglieranno tutti il nero, per evitare ma­nutenzioni annuali. «Hiii, per carità! Mai consegnato poltrone nere. Mi rifiuto di farle. Una poltrona nera non invita a sedersi e uccide la creatività». E lo dice lei che indossa cravatta nera, calzoni neri, calze nere e perfino il cintu­rino dell’orologio in pelle nera? «Ma io sono un fiore! E poi, dottore, il Rolex col cinturino d’acciaio a Napoli non lo puoi proprio portare. Dà troppo nell’occhio». La poltrona è legata a valori negativi. Starsene in poltrona: oziare. 

Essere in­collati alla poltrona: cupidigia di potere. Com’è riuscito a nobilitarla? «Ho compiuto quello che in gergo si chiama stiramento di prodotto.Ha presente l’Aspiri­na? A un certo punto l’acido acetilsalicilico non bastava più e così la Bayer ci ha aggiun­to l’acido ascorbico, cioè la vitamina C. Ho trasformato la poltrona in un oggetto perso­nale, tant’è che il prefetto Pansa ha voluto portarsela appresso nel nuovo incarico, e an­che affettivo: Osvaldo Martorano, che con la sua Martos finanziaria è uno degli sponsor del Napoli, ha preteso che gliela foderassi con una bandiera della squadra di calcio». Perché un’azienda come la sua è nata in Campania anziché in Brianza? «E la fantasia dei napoletani dove la mette, dottore? Eh, lo so, voi del Nord pensate che le nostre uniche specialità siano il sole, la piz­za, il mandolino e le statuine del presepio. Vorrei farle notare che la Magnaghi costruisce i carrelli per i caccia Tornado e i velivoli Embraer, Aermacchi e Agusta; la Mecfond fornisce le presse industriali a Fiat, Chrysler, General motors, Citroën, Opel, Peugeot, Renault, Se­at, Skoda e Volvo; la Dema produce componenti per gli aerei Apache; la famiglia Mataluni è il secondo produttore di olio al mondo». Di che cosa ha più bisogno la Campania in que­sto momento? «Della presenza dello Stato, in ogni sua espressione». Ma qui festeggiate volen­tieri l’Unità d’Italia oppure avete nostalgia dei Borbone? «Un po’ di nostalgia c’è. Se andasse a visitare il museo di Pietrarsa e vedesse la storia del Reale opificio creato da Ferdinando II, la proverebbe anche lei. È lì che nacque la prima ferrovia del Belpaese, la Napoli-Portici, inaugurata nel 1839. La Fiat sarebbe venuta soltan­to mezzo secolo dopo». Non ha mai pensato di trasferire la sua attività al Nord? «Mia moglie me lo chiede un giorno sì e un giorno no. Ma come si fa, dottore? Sbaraccare tutto a 57 anni… E poi Napoli non resterà così in eterno, dia retta a me. Se non avessi questa speranza, mi sarei già sparato».